OFFICE, performance, in Deposito Ontologico Contemporaneo, group exhibition, curator Roberto Annecchini, Change+Partner ContemporaryArt, Roma, Italy, 8/10/2004; La Voce del Corpo, Osnago Italy, october 2011
concept / performer: Werther Germondari
assistant / documentation: Maria Laura Spagnoli
documentation: Michele Sanzò
Now that Orwell is often brought up – making his come back thanks to the success of reality shows – also art had to tragically follow this new trend, suddenly feeling the urge to express itself on this “new” event. On this matter, many artist started working on the concept of mediatic control. Werther Germondari’s OFFICE is certainly not part of this context. The dynamic, the evolution and the very nature of his performance doesn’t belong to the obsessive controlled world of 1984 and not even to Bradbury’s Fahrenheit 451. Instead it can be traced back to the grotesque and dramatic kafka’s atmosphere.
Generally speaking Germondari’s work focuses on hidden elements brought to the scene in a goliardic tradition style, that in the pictures of Gioco di Sguardo (Glance Game) takes the form of an awkward scanning eye hiding its real nature of deflated balloon. In this way it underlines the artist attitude in seeing things thoughtlessnessly – as it is in human nature - sometimes overwhelmed by a wrong perception of reality and a dull daily routine. In this framework OFFICE is a good example of an artistic research that lays the ground in a journey already started.
All the elements are there: a constant effort towards a formal perfection, already present in Werther’s photography; the observation of reality through an ironic lens pointing at the futility of a circumstance – within a work scenario – that paradoxically finds its substantial expressive entity in its superficiality; the game of performing in its perceptive multiplicity.
Bending down on himself, wearing a traditional working suit (not as ambitious as that of a white collar) Werther Germondari begins a sterile working circle/circuit miming an empty and repetitive work action. Sterile the worker, sterile the operator, sterile the actor but not the audience. Using a rhyme game, close to the irony hidden within the linguistic references and double meanings of Germondari, we could define “tragic” the story around which the character in OFFICE revolves. Loving repetitive performances, as in Werthicalizz’azioni (Werthicaliz’actions) , the artist stages the physical and mental constraint of a situation that finds the reaffirmation of its identity, within its total vacuity and social acknowledgement. Therefore it needs the presence of an audience or even better a public perception to be legitimized. Here we have an overlapping of different viewpoints: that of Werther’s filming the wheels of his office swivel chair moving; that of the webcam pointed at him; that of the Gioco di Sguardo’s eye staring at the audience. The audience itself has got three viewpoints: the direct perception of Werther’s action; the perception of the images transmitted on the monitor by the webcam which is shooting Werther who is filming; that from the monitor transmitting the video shot directly by Werther. The result is a crescendo of puzzle games in which the traditional sarcasm of the artist is less poignant, but maybe more ferocious than ever.
Federica La Paglia
In tempi in cui Orwell viene continuamente chiamato in causa – dopo essere tornato alla ribalta in seguito al successo dei reality show – anche l’arte ha dovuto pagare il tragico scotto della moda, sentendo improvvisamente la necessità di esprimersi sul “nuovo” evento.
In tutto questo, quindi, molti sono stati gli artisti che si sono cimentanti recentemente sul concetto di controllo mediatico.
Non in questo contesto, però, s’inserisce OFFICE di Werther Germondari. La dinamica, l’evoluzione e la natura stessa della performance non sono tanto vicine al mondo sottoposto all’ossessivo controllo raccontato da 1984, né a quello di Fahrenheit 451 di Bradbury, quanto piuttosto alle atmosfere drammaticamente grottesche di kafkiana memoria.
In generale il lavoro di Werther Germondari focalizza l’attenzione su elementi nascosti, portati alla ribalta con stile a volte addirittura goliardico, che nelle foto di Gioco di Sguardo prende le forme dell’anomalo occhio scrutatore che nasconde la sua vera natura di palloncino sgonfio, evidenziando così l’attitudine dell’artista a guardare alle cose con la leggerezza che, sebbene propria della natura umana, talvolta viene sopraffatta da una errata percezione e dalla monotona quotidianità.
In tal senso OFFICE si presenta come esemplificativo di una ricerca artistica che affonda le sue radici in un percorso già da tempo intrapreso. Gli elementi ci sono tutti: c’è il costante sforzo verso una perfezione formale – che fu propria di un passato fotografico di Werther – , c’è l’osservazione della realtà attraverso la lente dell’ironia puntata sulla futilità di una circostanza – in questo caso lavorativa – che paradossalmente nella propria superficialità trova la sua sostanziale entità rappresentativa, e poi c’è il gioco della rappresentazione nella sua molteplicità percettiva.
Ripiegato su se stesso, col più tradizionale degli abiti impiegatizi, ma non abbastanza rampante da essere definito un colletto bianco, Werther Germondari mimando un impiego sempre uguale a se stesso, vuoto nella sua ripetitività, dà il via ad un circolo/circuito lavorativo di un’operatività sterile.
Sterile il lavoratore, sterile l’operatore, sterile l’attore ma non lo spettatore. Con un gioco di rime, vicino all’ironia dei riferimenti e doppi sensi linguistici di Germondari, potremmo definire la “tragica” vicenda intorno a cui ruota la sua figura in OFFICE.
Amante delle performance ripetitive, come fu per Werthicalizz’azioni, l’artista mette in scena la costrizione fisica e mentale di una situazione che, nella totale vacuità e nella sua riconoscibilità sociale, trova la riaffermazione della propria identità. E così necessita della presenza di uno spettatore, o meglio di una percezione pubblica come legittimazione. Di qui l’accavallarsi dei punti di vista, quello di Werther che lavora riprendendo i movimenti delle ruote della sua sedia girevole, quello della webcam puntata su di lui e quello dell’occhio di Gioco di Sguardo che fissa lo spettatore che a sua volta gode di tre punti di vista: la percezione diretta dell’azione di Werther, la percezione attraverso il monitor che manda in onda le immagini della webcam che riprende Werther che filma, e quella attraverso il monitor che propone il video girato direttamente da lui. Tutto in un crescente gioco ad incastri in cui il tradizionale sarcasmo dell’artista si fa meno gridato, ma forse ancor più feroce.
Federica La Paglia